Le ragioni di un progetto
Valorizzare a “KM 0

L’archeologia spesso è vista come una disciplina romantica, confinata ai momenti di svago e di puro arricchimento culturale, ma in realtà è una professione in forte connessione con le principali trasformazioni del nostro territorio e fornisce irripetibili occasioni per conoscere e ricostruire la nostra storia, normalmente valorizzata nelle sedi deputate, quali i Musei. Malpensa ha offerto la possibilità di affrontare una stimolante sfida: la nuova stazione ferroviaria è stata individuata come luogo destinato all’esposizione, permettendo da una parte di valorizzare i rinvenimenti a pochi metri da dove sono stati effettuati, dall’altra di renderli facilmente accessibili 365 giorni all’anno e 24 ore su 24 per un pubblico molto vasto. Anche il viaggiatore più frettoloso e distratto noterà, transitando in mezzo all’allestimento, la presentazione di un’ampia selezione di reperti e strutture originali accompagnati da una comunicazione immediatamente fruibile, grazie al supporto degli apparati multimediali che veicolano messaggi brevi, ma scientificamente corretti. Accompagnano il viaggiatore alcuni personaggi particolarmente importanti per la storia lombarda, legando con un filo rosso i primi Golasecchiani alla fondazione di Milano fino allo sviluppo attuale.

La Stazione del Terminal 2 e la sua contaminazione

Usare un non-luogo per veicolare un messaggio culturale: questo è l’obbiettivo che gli archeologi del Ministero si sono posti nel concepire un allestimento nella stazione del Terminal 2 dell’aeroporto di Milano Malpensa.

Uscire dai luoghi deputati alla valorizzazione e alla trasmissione del nostro patrimonio, quali i musei o le esposizioni a durata limitata, per porre a portata di tutti i risultati della ricerca. Questi sono i principi cui si sono ispirati gli archeologi ideatori del percorso espositivo, Filippo Maria Gambari e Barbara Grassi della Soprintendenza, poi trasmessi agli architetti Davide Bruno e Luca Panteghini, che hanno elaborato una proposta espositiva originale, sintesi di tradizione e innovazione. Sono state studiate da Claudia Mangani e Diego Voltolini modalità di comunicazione brevi ma facilmente comprensibili per il vasto pubblico, sempre fedeli ai dati archeologici. I molteplici apparati multimediali, realizzati da StudioBase2 con la collaborazione di Simona Morandi, hanno il compito di spiegare per immagini usi, costumi e riti in voga nella tarda età del Bronzo, introducendoci in una realtà a noi lontana. Questa sfida di valorizzazione, che ha visto l’appoggio incondizionato di Regione Lombardia, è stata magistralmente raccolta da FNM e SEA, Società che, sapendo comprendere l'importanza dell'operazione culturale anche andando oltre la mission istituzionale, hanno permesso, con la loro continua collaborazione, lo svolgersi di tutte le tappe dello stimolante cammino dalla scoperta all’esposizione.

Grandi opere per grandi scoperte

Un’attenta progettazione e programmazione degli interventi che incidono in modo significativo sul territorio permette di evitare nella maggior parte dei casi inutili ritardi nella realizzazione delle opere e la perdita del patrimonio archeologico e culturale, risorsa preziosa ma non rinnovabile.

L’accordo tra la Soprintendenza e FNM, che ha realizzato il nuovo tracciato ferroviario, ha permesso di realizzare i necessari interventi di archeologia preventiva, confermando l’altissimo potenziale archeologico di un’area che già in passato aveva restituito importanti contesti risalenti all’età del Bronzo Finale (XII-X secolo a.C.): accanto ad alcune tracce di abitati, numerose sepolture, il celeberrimo ripostiglio di bronzi della Malpensa, oltre a resti di epoca romana. Le opere di scavo sono state necessariamente precedute, data l’importanza strategica dell’aeroporto di Malpensa, dalle attività di bonifica bellica del terreno che hanno portato al rinvenimento di decine di ordigni risalenti alla seconda Guerra Mondiale. Per evitare ritardi nel cronoprogramma dei lavori, è stato necessario impiegare numerose squadre di archeologi che hanno operato simultaneamente. Lo scavo archeologico è stato eseguito con rigore scientifico e coordinato sul cantiere da Paul Blockley e Giordana Ridolfi, raccogliendo tutti i dati e documentando con cura tutte le scoperte, grazie a un’équipe multidisciplinare. La disponibilità finanziaria dei vari soggetti coinvolti nella realizzazione dell’opera ferroviaria ha fornito l’occasione irripetibile di arrivare, attraverso l’archeologia, a una ricostruzione storica che costituisce un importante “risarcimento” per un territorio che ha visto ancora una volta mutare la sua fisionomia.

Restauri e analisi

Il fine della ricerca archeologica è quello di ricostruire un periodo storico grazie alle testimonianze materiali portate in luce e alla loro interpretazione culturale.

Per questo motivo il gruppo di lavoro è composto non solo da archeologi, disegnatori, topografi e fotografi che devono documentare fedelmente tutte le fasi della scoperta, ma anche da restauratori che intervengono tempestivamente, a volte già in fase di scavo, sui reperti più delicati per assicurarne la conservazione, e da specialisti di diverse discipline naturalistiche che studiano i resti organici e inorganici. Nel caso della Malpensa per velocizzare il lavoro in cantiere, pur utilizzando la massima cautela al fine di raccogliere il maggior numero di dati possibili, oltre venti urne sono state recuperate in blocco con il loro contenuto, per il prelievo di campioni per le analisi antropologiche e paleobotaniche, operazione che avrebbe richiesto molto tempo se svolta sul campo. Per progettare correttamente il lavoro in laboratorio, le urne sono state radiografate, in modo da individuare gli eventuali ornamenti in bronzo presenti all’interno. E’ stato poi avviato il microscavo: ogni fase del lavoro è stata coordinata per permettere di effettuare i recuperi dei reperti e dei campioni con tutte le cautele necessarie; in laboratorio i restauratori Cristina Leoni e Ana Hilar hanno consolidato e riassemblato i vari frammenti, ricomponendo l’integrità dei reperti, talvolta con il ricorso a integrazioni con materiali compatibili e reversibili. Gli antropologi, nonostante i defunti fossero cremati su una pira, hanno in alcuni casi potuto riconoscere dalle ossa conservate il sesso del defunto e la sua età approssimativa. Grazie alle analisi paleobotaniche di Mauro Rottoli sono state individuate, almeno in tre sepolture, bacche di rose selvatiche, deposte all’interno dell’urna, e i resti dei legni bruciati nel rogo funebre, in particolare la quercia, il frassino, il faggio e il carpino, oltre a piccoli arbusti, come il nocciolo, utilizzati per innescare la pira; si tratta di essenze che dovevano costituire il patrimonio arboreo locale. Anche il terreno costituisce un archivio naturale stratificato di straordinaria importanza: nell’età del Bronzo Finale l’area della necropoli era già parzialmente disboscata, probabilmente per lo sfruttamento della zona ai fini agricoli e insediativi.

I primi Celti d’Italia

Verso la fine dell’età del Bronzo, tra il 1200 e il 900 a.C. circa, si assiste alla formazione delle prime comunità che caratterizzeranno le differenze regionali e culturali dell’Italia antica.

Il territorio di Malpensa a quell’epoca era abitato da una popolazione di stirpe celtica, definita dagli studiosi “Protogolasecca”, conosciuta soprattutto attraverso le testimonianze funerarie, oggi più numerose, mentre le testimonianze degli abitati, come quelle rinvenute a Somma Lombardo, sono molto scarse e fanno intuire la presenza di abitazioni costruite in materiale deperibile. Proprio dagli oggetti deposti nelle sepolture, raramente numerosi, come gli spilloni per i maschi e le fibule per le femmine, e grazie alle forme dei vasi possiamo riconoscere, già in questo periodo, molti punti di contatto sia con le popolazioni stanziate nell’attuale Svizzera, sia con quelle della Lombardia orientale e del Veneto. In questo periodo il rito funerario era la cremazione: veniva costruita una pira di legname sulla quale il corpo del defunto bruciava per molte ore. Le ceneri, raccolte ritualmente, erano poi deposte in urne. Questi contenitori erano realizzati in ceramica o, più raramente, in materiali deperibili, come stoffa o cuoio. Accanto ai resti del defunto era usanza collocare anche i suoi monili e alcuni oggetti di uso quotidiano, come simboli del ruolo svolto in vita. Nel territorio di Somma Lombardo alla Belcora e alla Malpensa sono stati individuati ben tre tumuli di notevoli dimensioni che prevedevano una sorta di monumentalizzazione della sepoltura grazie a un grande riporto di terra, operazione che doveva prevedere il concorso di gran parte della comunità per celebrare la memoria di un personaggio di particolare rilievo. La visibilità del sepolcro in alcuni casi poteva essere garantita anche da segnacoli posti sulla sommità del tumulo. In due casi la cerimonia funebre prevedeva, tra l’altro, la disposizione ad anello intorno alla fossa del cinerario dei resti carboniosi della pira funebre in modo che nulla della terra di rogo andasse disperso. La presenza di vasi di ceramica domestica rotti sulla tomba chiusa rivela l’usanza di celebrare libagioni e riti per il defunto poco dopo la sepoltura.

Dalla Malpensa alla fondazione di Milano

I Celti golasecchiani ci hanno consegnato importanti eredità, senza che in molti casi ne siamo consapevoli.

Il contributo più significativo è rappresentato dall’impronta che essi hanno lasciato sul territorio della Lombardia. Se nella fase del Protogolasecca (XII-X sec. a.C.) gli abitati, documentati in maniera molto limitata, dovevano essere sparsi villaggi di piccole dimensioni, ai quali fa riferimento un gruppo di sepolture di piccole o medie dimensioni, nel corso dell’età del Ferro (IX-IV sec. a.C.) la situazione cambia progressivamente: si vengono a delineare sempre più compiutamente i tre principali comprensori territoriali e culturali golasecchiani, uno tra Golasecca-Sesto Calende-Castelletto Ticino, uno nell’area di Como e, in territorio svizzero, quello ticinese. I primi due territori si caratterizzano nei secoli VII e VI a.C. come centri importanti; Como avrà in seguito una struttura di tipo urbano. I Celti golasecchiani sviluppano una particolare propensione al commercio con l’organizzazione di una fitta rete di scambi, anche grazie al fiume Ticino che diventa un asse viario di primaria importanza per percorsi ad ampio raggio; essi divengono il tramite tra i popoli etruschi e italici, portatori di usi e costumi tipici delle aristocrazie influenzate da usi greci e mediterranei, e le popolazioni celtiche stanziate al di là delle Alpi, veicolando, tra l’altro, le usanze legate al consumo del vino e al rituale del banchetto. Nel corso della prima metà del V secolo a.C. si assiste al collasso e spopolamento del comprensorio golasecchiano occidentale e al conseguente spostamento del centro di controllo della rete dei commerci con il mondo etrusco dal Ticino alla pianura, con la fondazione di Milano, attribuita al mitico Belloveso, e di altre città lombarde, come Bergamo. Con la costituzione nel IV-III secolo a.C. dello stato federale degli Insubri, popolo noto grazie alla tradizione storiografica antica nel quale sono identificabili i Celti golasecchiani, Milano-Mediolanum diventerà la capitale e svilupperà sempre maggiore importanza seguendo un filo rosso che arriva fino a oggi. Tra le eredità dei Celti golasecchiani non possiamo dimenticare l’uso delle bracae, veri e propri pantaloni, in un momento storico in cui per tutti i popoli italici, anche per gli uomini, erano comuni tuniche e gonne, la produzione di birra ad alta gradazione, l’avvio del modo moderno di invecchiare e consumare il vino con botti e vasi per l’ossigenazione, la diffusione del formaggio erborinato.

La Civiltà di Golasecca

La storia, quella più antica, è in grado di esercitare un fascino misterioso e particolare, che ha a che fare con la ricerca delle proprie radici e la conoscenza delle civiltà che ci hanno preceduto.

È attraverso questo fascino e questa suggestione che la Lombardia decide di mostrare il suo volto più bello a chi arriva sul suo territorio: un volto fiero delle proprie origini antiche e di un patrimonio culturale unico al mondo, dal Cenacolo Vinciano alle incisioni rupestri della Valcamonica, dal Teatro alla Scala alla ferrovia retica del Bernina.

È con grande piacere, dunque, che Regione Lombardia ha dato il proprio contributo alla valorizzazione del sistema culturale e archeologico della Civiltà di Golasecca, anche attraverso questa esposizione permanente, preziosa per i reperti custoditi e per il fatto di aprire alla conoscenza di un luogo, di una civiltà, di un territorio ricco di cultura, tutto da scoprire.

Roberto Maroni - Presidente Regione Lombardia